La cottura è una pratica che rende più sicuri gli alimenti, poiché esercita un’azione microbicida ed elimina eventuali tossine in essi presenti. Un vantaggio che ne consegue è la maggiore biodisponibilità di alcuni nutrienti, grazie alla disattivazione di sostanze “antinutrizionali” presenti negli alimenti. Ad esempio nei legumi la cottura denatura i costituenti che limitano l’assorbimento dei minerali (fitati). Un altro aspetto positivo riguarda l’inattivazione di alcuni enzimi responsabili della degradazione dei cibi, rendendoli quindi più conservabili e digeribili, in quanto il calore ammorbidisce i tessuti, distrugge le pareti cellulari ed inizia alcuni processi di demolizione dei principi nutritivi, iniziando così una sorta di digestione.
Passiamo in rassegna delle diverse metodologie di cottura.
La bollitura è il metodo di cottura che favorisce maggiormente la perdita di vitamine idrosolubili e dei minerali poiché, soprattutto quando i tempi sono molto prolungati, i nutrienti vengono rilasciati dall’alimento nell’acqua, che viene poi solitamente scartata e non consumata. Se scegliamo e vogliamo bollire verdure, quindi, la prima avvertenza è quella di salare e di ridurre al minimo l’acqua e i tempi di cottura.
La cottura a vapore è il modo migliore per conservare le proprietà nutrizionali e i composti bioattivi negli alimenti. Molti studi recenti hanno puntato la loro attenzione sugli effetti di questa tecnica sui glucosinolati, composti contenuti in alcuni ortaggi come cavoli, broccoli e cavolini di Bruxelles, con attività anticancerogena. Il calore moderato della cottura a vapore e l’ambiente che si crea, peraltro, hanno la capacità ammorbidiscono le pareti cellulari e liberano in parte i carotenoidi, rendendoli più bioattivi. Tra le vitamine del gruppo B, anche i folati rimangono concentrati per il 90% all’interno delle verdure. Purtroppo, l’unica vitamina che subisce gravi perdite anche con la cottura a vapore è la vitamina C, dato che risulta termolabile e fotosensibile.
Con la cottura a pressione si raggiungono temperature al di sopra dei 100°C. A livello casalingo vengono impiegate opportune pentole a pressione che, grazie al miglior trasporto di calore, permettono una cottura più breve al riparo da luce e ossigeno, senza compromettere le caratteristiche nutrizionali delle preparazioni alimentari. Da un punto di vista nutrizionale la cottura mediante pentola a pressione permette l’impiego di una quantità minima di acqua, limitando in tal modo la perdita di nutrienti idrosolubili (vitamine e sali minerali). Le perdite di vitamina C, tiamina e riboflavina sono inferiori in questo tipo di cottura rispetto ad altre, come ad esempio la bollitura. Questo metodo impiega temperature molto elevate, riducendo notevolmente le tempistiche e il tasso di alterazione dei composti. D’altro canto però causa un aumento della denaturazione delle proteine.
In generale, in particolare per le verdure, la cottura in pentola deve essere assolutamente veloce, al fine di limitare le perdite di vitamine idrosolubili e termolabili. Ad esempio nella preparazione di una caponata di verdure, per ridurre le tempistiche di esposizione al calore, mantenendo così inalterate le proprietà nutritive, bisognerebbe aggiungere in tegame prima le verdure più fibrose e poi quelle più tenere. Un’eccezione è rappresentata dal pomodoro, il quale in seguito alla cottura, incrementa l’attività antiossidante del licopene, dato che il calore “spezza” la molecola rendendola maggiormente efficace e se utilizziamo la presenza di vitamina E dell’olio extravergine d’oliva, ne potenzierà l’azione antitumorale.
La cottura al forno, condotta secondo le ricette tradizionali, prevede generalmente l’uso di temperature molto elevate: dai 150°C ai 220°C, spesso protratte per tempi lunghi, con conseguente perdita delle proprietà nutritive degli alimenti. Sono proprio però le temperature superiori ai 120°C che formano nuovi sapori e sprigionano gli aromi (Reazione di Maillard). Se quindi, non vogliamo rinunciare ai profumi e al gusto di un buon arrosto cotto al forno, o ad un bel mix di verdure, anche in questo tipo di cottura , come per le altre, dobbiamo cercare di ridurre al minimo le temperature ed i tempi di cottura, utilizzando qualche piccolo accorgimento (ad esempio l’uso del cartoccio e la cottura in crosta di sale).
Contrariamente a quello che si crede la frittura è una modalità di cottura che non porta ad una riduzione drastica dei nutrienti: l’alimento non entra mai a contatto diretto con l’acqua e quindi non disperde facilmente le sostanze al suo interno. Il breve tempo impiegato comporta una riduzione dei livelli di vitamina C e di alcune vitamine del gruppo B del 20%, perdite molto più basse rispetto a quelle osservate in altri metodi di cottura. Gli effetti tossici della frittura non risiedono, quindi, nel diminuito valore nutrizionale dell’alimento, ma nella quantità e nella qualità del grasso che utilizziamo. È importante quindi scegliere l’olio giusto, con un altro punto di fumo non soggetto ad ossidazione, come l’olio extravergine d’oliva o olio d’arachide. Bisogna peraltro limitare l’assorbimento del grasso da parte dell’alimento, cuocendolo in abbondante olio, creando così una “crosta” impermeabile ed, infine, evitare la formazione di sostanze nocive (acroleina, acrilammide e grassi trans), monitorando la temperatura di cottura.
Gli alimenti nella cottura sottovuoto sono trattati a temperature non molto elevate, sotto i 100°C, senza contatto diretto con ossigeno ed acqua, quindi le perdite di minerali e di vitamine sono minime e persino la vitamina C, estremamente termolabile, viene trattenuta nell’alimento cotto fino al 98% (si conserva al 50% dopo dieci giorni di conservazione a 4°C), così come i folati e le altre vitamine del gruppo B. Un altro vantaggio risiede nella mancata formazione di composti tossici per l’organismo, grazie alla riduzione dell’ossidazione dei grassi. Con il sottovuoto è possibile cuocere senza aggiungere grassi, garantendo un’esaltazione dei sapori e degli aromi propri dei cibi, in quanto non si disperdono nell’aria durante la cottura. Perdendo pochissima acqua, l’alimento risulta inoltre più morbido e succoso. Il calo di peso, infatti, risulta estremamente ridotto, con conseguente risparmio anche nei costi delle materie prime.
Bisogna prestare però particolare attenzione alle sostanze nocive sprigionate in seguito ad alcune modalità di cottura.
Nelle cotture a contatto diretto con il fuoco, come la griglia, l’affumicamento o la brace, il grasso fuso dal calore brucia, subisce la pirolisi e produce benzopirene, una sostanza cancerogena. Il fumo intriso di benzopirene penetra nella parte esterna degli alimenti. Bisogna, quindi, evitare che si formino delle parti annerite sui cibi cotti, create in seguito all’eccesso di calore.
Esiste poi l’acrilamide, un potenziale cancerogeno, che si forma nei prodotti amidacei (cereali e patate) contenenti l’aminoacido asparagina e il glucosio, durante il processo di cottura (frittura, cottura al forno e alla griglia) a temperature pari o superiori a 150°C. Le patate contengono molta asparagina (2-4,5 g/Kg sul peso fresco), ad eccezione delle Cultivar di patate AGRIA e JELLI, che ne sono prive. Il viraggio del colore delle patate dal dorato al marroncino può essere un indicatore della formazione di tale composto, infatti non c’è acrilammide nelle patate bollite o nella mollica del pane.
Il punto di fumo indica la temperatura sopra la quale il grasso brucia, si decompone e libera un fumo biancastro. Si sviluppa, soprattutto in seguito alla frittura, una sostanza dall’odore pungente, detta acroleina, che risulta particolarmente epatotossica. Il punto di fumo è correlato al concetto di acidità libera: più la % di acidità libera è bassa più alto sarà il punto di fumo dell’olio preso in esame.